Giorni di dibattito questi, giorni in cui si cercherà di
capire la sorte dei venturi iscritti alla facoltà di medicina, tra un
comunicato stampa e una smentita a livello ufficiale, tra un’opinione
favorevole e una contraria al test d’ingresso espresso dagli studenti stessi
(vedi articolo precedente).
Ma in questi giorni ci arrivano altre notizie, passate un
po' in sordina respetto alla débacle sopra citata. Notizia da non sottovalutare
o, peggio, da gettare nel dimenticatoio, che porta a riflessioni non da poco:
il disastroso posto dell’Italia nella classifica Reuters che si occupa di
individuare le 100 facoltà del mondo che brillano nel campo scientifico, nel
progettare nuove tecnologie al servizio futuro delle industrie.
L’attributo “disastroso” probabilmente non da un quadro
preciso della situazione: per cominciare la giornata con una bella doccia
fredda basta cercare il nome di anche solo un ateneo nostrano nella classifica
e il successivo non trovarne nemmeno uno, per capire che quando si parla di decadimento, dovuto in primis allo svogliato
interesse sulla “questione istruzione” da parte delle istituzioni, in questo
caso non lo si enfatizza a sufficienza.
Le prime 8 su 100, manco a dirlo, sono americane e hanno
ottenuto punteggi stellari sulla base di 4 indicatori:
- l’academic reputation che tiene conto dell’opinione
di ricercatori e accademici;
- l’employer reputation che ascolta le valutazioni,
in termini di migliori laureati, di datori di lavoro e manager, quindi il
fondamentale ponte che si crea tra università e lavoro;
- il faculty/student ratio che mette in relazione il
numero di docenti rispetto a quello degli studenti (indicatore dove l’Italia
dimostra la performance peggiore guadagnandosi gli ultimi posti nel ranking
persino mondiale!)
- e per finire il citations per faculty che conta il
numero delle citazioni nelle varie
pubblicazioni scientifiche, ciò non per demerito degli studenti italiani ma a
causa dell’ incapacità di aggiornarsi dimostrata dal nostro sistema
universitario.
La situazione del nostro Paese non è rosea nemmeno guardando
il ranking europeo, dove trovano spazio appena tre facoltà. Per quanto concerne
l’Europa, invece, ancora due atenei tengono alto il nome del vecchio
continente: uno belga e uno londinese. Per farsi un’idea dello stato di salute
più preciso delle università italiane basta prendere la classifica a livello
europeo e scendere fino al 44esimo posto dove troviamo il Politecnico di Milano
seguito a ruota dalla Statale della stessa città e dalla Sapienza di Roma col suo
81esimo posto.
Invece di stracciarsi le vesti, andrebbe attuata una lucida
analisi sui fattori che han causato questo inabissamento e dalla quale analisi
prendano le mosse un’inversione di rotta al fine di riportare l’università
italiana ai livelli qualitativi di non troppo tempo fa.
La Redazione